Nella letteratura internazionale, dagli anni Settanta fino ad oggi, è possibile individuare la presenza di almeno cinque modelli che tentano di ricostruire e spiegare il complesso pattern di deficit cognitivi e comportamentali dei bambini con DDAI. In questa breve sezione non prenderemo in esame teorie piuttosto superate, che sono state già trattate nel paragrafo relativo alla storia del DDAI, tra cui quella di Still (1902) sul deficit di controllo morale e mancanza di volizione, e quella di Wender (1971) sulla disfunzione cerebrale minima.

Negli anni Settanta e Ottanta, Virginia Douglas ha dato un impulso radicale agli studi sui processi cognitivi dei bambini con DDA, tant’è che la descrizione nosografica del DDAI introdotta dal DSM-III (APA,1980) ha cominciato ad enfatizzare soprattutto i deficit cognitivi rispetto a quelli comportamentali. Il modello della Douglas (1983) delinea la presenza di 4 deficit primari:
1)  debole investimento in termini di mantenimento dello sforzo;
2) deficit di modulazione dell’arousal psicofisiologico che rende il soggetto incapace di raggiungere le richieste dei compiti;
3)  forte ricerca di stimolazioni e gratificazioni intense ed immediate;
4)  difficoltà di controllo degli impulsi.
La conseguenza di questi deficit primari si manifesta poi in un generale deficit di autoregolazione che include carenze a livello di pianificazione, organizzazione, funzioni esecutive, metacognizione, flessibilità cognitiva, auto-monitoraggio e auto-correzione (per un approfondimento sulla metacognizione si veda Cornoldi, 1995). Per quanto riguarda le funzioni esecutive è sufficiente ricordare che con questo termine si intende una serie di processi mentali tra cui flessibilità cognitiva, pianificazione, memoria di lavoro, fluenza verbale, rappresentazione mentale di un obiettivo, mantenimento volontario dello sforzo, uso volontario di strategie e inibizione di risposte inappropriate.

Negli anni Novanta il gruppo di Sergeant (Sergeant & Van der Meere, 1990; Sergeant et al., 1999) ha proposto il cosiddetto modello energetico–cognitivo che prevede tre livelli di elaborazione dell’informazione:
quello sovraordinato coordina le azioni ed è la sede delle funzioni esecutive (secondo Sergeant: rappresentazione mentale del compito, pianificazione, monitoraggio, inibizione, deferimento di una risposta, individuazione e correzione degli errori allo scopo di mantenere un adeguata condizione di problem-solving).
Il secondo livello è quello prettamente energetico in cui viene proposta l’esistenza di tre pool: il primo, più sovraordinato, è l’effort (sforzo, che serve per mettere a disposizione del soggetto l’energia necessaria per lo svolgimento di un compito); l’effort controlla l’arousal e l’activation. L’arousal è definito come l’energia necessaria per fornire risposte rapide (solitamente per l’analisi degli stimoli); l’activation è l’energia necessaria per mantenere la vigilanza.
Il terzo livello di elaborazione delle informazioni è costituito da tre sistemi: decodifica, processazione e risposta motoria. Il modello di Sergeant (Sergeant & Van der Meere, 1990; Sergeant et al., 1998) prevede che i bambini con DDAI abbiano un deficit a carico della componente di attivazione che determina una compromissione a livello di esecuzione motoria; mentre risulta intatto il circuito arousal–decodifica. Secondo Sergeant, i bambini con DDAI presentano un deficit a carico della componente di controllo superiore (funzioni esecutive) però non risulta tuttora chiaro quale di questi processi risultano compromessi e quali sembrano intatti.

Nel 1997, Barkley (vedi anche Barkley, 1997) ha proposto il cosiddetto modello ibrido, specifico per il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, secondo il quale il problema centrale di questi bambini è un deficit di inibizione e delle funzioni esecutive. Barkley propone una stretta somiglianza delle prestazioni dei bambini con DDAI con quelle dei pazienti adulti con lesioni pre-frontali e sostiene che il deficit inibitorio determini difficoltà a livello di memoria di lavoro, autoregolazione di emozioni, motivazione e arousal, interiorizzazione del linguaggio e analisi/sintesi degli eventi (reconstitution).

Un po’ più articolata dal punto di vista neuropsicologico è la proposta di Swanson (Swanson et al., 1998; Swanson et al., 1999) che riprende una formulazione dei network attentivi proposta da Posner e Peters (1990). Il modello di Posner prevede l’esistenza di tre network che controllano i processi attentivi:
1) esecuzione/controllo,
2) mantenimento dell’allerta,
3) orientamento.
Il circuito che si occupa di aspetti esecutivi controlla i comportamenti diretti ad uno scopo, l’individuazione degli obiettivi, il rilevamento degli errori, la risoluzione dei conflitti e l’inibizione di risposte automatizzate. Dal punto di vista neurologico, il network esecutivo trova una corrispondenza nel lobo frontale mediale, compreso il giro del cingolo, l’area supplementare motoria e una parte dei gangli della base. Il circuito per il mantenimento dell’allerta si occupa del mantenimento dell’attenzione e della prontezza di risposta; ha un corrispondente cerebrale nel lobo frontale destro e nel locus coeruleus. Il network che controlla l’orientamento e l’attenzione spaziale trova una collocazione cerebrale nel lobo parietale.

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